Cos’è la Data Ethics, dalla creazione dei Cloud alla minaccia alla democrazia
L’etica dei dati è l’insieme di quei valori etici essenziali alla gestione delle informazioni personali che affollano il web.
Analizzare l’importanza dell’ uso consapevole dei dati è subordinato alla comprensione dell’utilizzo di quelle informazioni, da come vengono processate e in che modo vengono impiegate.
Dalla nascita dei primi computer molto è cambiato, l’uso massivo dei dispositivi ha reso necessaria la creazione di spazi appositi che permettessero il salvataggio dei dati in uno spazio virtuale. Si è passati così da un sistema di Personal Computing, basato sulla mera elaborazione dei dati, ad uno di Cloud Computing.
Qui nasce il servizio di conservazione dei dati personali prodotti ogni giorno dalle nostre interazioni sul web attraverso dispositivi come TV, cellulari, carte di credito e PC.
Con i social media la quantità di dati prodotti è aumentato esponenzialmente. Ma poche sono le aziende che ad oggi possono permettersi di immagazzinare ed elaborare quantità di notizie così elevate.
Basti sapere che Google pensa in Exabyte, che equivale ad un trilione di Byte: cifre assurde che riducono a cinque (Apple, Microsoft, Amazon, Facebook e la già citata Google) il numero di colossi che nel mondo possono gestire un flusso così importante di informazioni. Senza dimenticare le asiatiche Alibaba, Baidu e Tencent.
E’ facile comprendere il rischio legato all’uso di quantità infinite di dati da parte di aziende private. Meno intuitivo è capire come questi dati vengano usati per scopi commerciali.
E’ qui che la Data Ethics si inserisce nella disciplina dei cloud, i quali potrebbero distorcere il concetto di democrazia che sta alla base della nostra società.
Nasce il business dei big data
Ma come accade che da svariate informazioni, tutte eterogenee e pressoché infinite si riesca a trarre profitto?
Questo è il quid che ci premuriamo di affrontare. Il fine è di creare consapevolezza nell’utente che dovrà scegliere liberamente se condividere o meno quelle informazioni che quotidianamente è portato a mettere in rete.
Innanzitutto bisogna evidenziare il dato: oltre 4 miliardi di utenti “cedono” le loro informazioni ogni giorno, costituendo i Big Data, un potenziale economico immenso.
Dopo la cessione volontaria dei dati, questi vengono elaborati da complessi algoritmi. Essi trasformano semplici numeri o descrizioni di eventi, in informazioni, ovvero l’insieme di quei comportamenti che trasforma l’utente in consumatore, ne analizza gli orientamenti e le scelte quotidiane.
In questo modo si crea un mercato che anticipa il bisogno del singolo. Chi somministra servizi o beni conosce in anticipo le richieste di chi le andrà a fare. Si crea un circolo vizioso in cui non è ben chiaro se il consumatore sceglie o viene scelto dal prodotto di turno.
Emerge qui una certa tendenza dei dispositivi a creare dipendenza nell’utente che è sempre più spinto a stare in rete, attratto da pubblicità accattivanti e da design attraenti. Così facendo si stratifica e consolida l’identità digitale di ognuno, rendendone di fatto sempre più difficile la rimozione dalla rete.
I big data e l’attacco al concetto di democrazia, una premessa storica
Il ‘900 è stato un secolo innovativo, che ha modificato solidi equilibri, uno fra tutti quello del diritto positivo. Questo si slega dal concetto di stato-territorio ed entra in regole liquide, dettate dalla globalizzazione.
La nascita della Comunità Europea e del mercato economico europeo, per esempio, cambia il paradigma del diritto positivo che regredisce in una vera e propria “de-territorializzazione”.
Ne parlava ampiamente già nel 2009 Paolo Grossi, giurista e storico del diritto, nel suo libro Prima lezione di diritto.
Egli scriveva che “la dimensione primaria della globalizzazione è economica, e l’economia – al contrario della politica – è insofferente a spazi conchiusi, a confini, trovando congeniali spazi sempre più aperti, sempre più globali”.
Grossi descriveva uno scenario oggi più che mai attuale.
Infatti vediamo che i big del web dispongono quasi indisturbatamente di dati personali. Essi sono coadiuvati da un una condizione non – fisica e quindi non legata direttamente ad uno Stato sovrano e alle salvaguardie del diritto positivo.
Assistiamo in questi anni infatti a tentativi, più o meno efficaci, di Nazioni che corrono ai ripari per arginare, limitare e quando possibile sanzionare i titani del web per i loro abusi.
Fa scalpore la notizia di pochi giorni fa su un clamoroso accordo economico tra Google e 40 stati americani raggiunto come risarcimento per aver violato la privacy di migliaia di cittadini statunitensi.
Ma molto è stato fatto. Basti pensare al GDPR che definisce il diritto alla privacy in modo inequivocabile oppure alla nostra Carta dei diritti di internet. Questa infatti dal 2015 punta a “garantire a ciascun individuo l’esercizio di una cittadinanza digitale attiva nel rispetto della libertà, della dignità e della diversità di ogni persona”.
Altro merito della Carta è l’aver sancito all‘ art. 11 il Diritto all’Oblio.
Conclusioni
Adesso sarà più semplice al lettore capire la correlazione tra Data Ethics, cloud e democrazia. Soprattutto come la tutela dell’identità digitale sia alla base della salvaguardia della civiltà.
In tempi complessi come il nostro le minacce alla libertà diventano articolate e si nascondono dietro moderne logiche di mercato e complesse battaglie economiche.
Fondamentale resta la consapevolezza degli utenti di orientare con coscienza le scelte web, nella speranza di ricordare che prima di essere utenti restiamo esseri umani.